24 luglio 2020 La mancanza è sintomo di una buona esperienza, di qualcosa di vissuto in profondità. La mancanza è amore.
Riprendo la mia cronaca dal casale, dal mio rifugio dove prendo tempo, vivo il tempo nella semplicità della vita che scorre. A volte mi sento come un monaco in un monastero con tempi dettati da regole e doveri necessari a far vivere ciò che ti circonda e a far lievitare lo spessore interiore delle tue riflessioni profonde. I rifugi isolati dentro la natura permettono questa navigazione fatta di lavoro e spirito, sudore e pensieri,
Curare una pianta di pomodoro e vederla crescere, costruire letti volanti che ondeggiano tra i rami delle querce a ricordare il movimento di Zefiro (guscio galleggiante), pensare alla bellezza delle cose, oppure inorridire per le notizie di un’incapacità umana all’ accogliere sono parte viva di questo vissuto di oggi.
Accogliere i miei pensieri che con volo naturale, planano ai giorni dell’infanzia dove tutto era all’insegna dell’accoglienza, verso i figli, verso la persona che si amava, verso gli amici che frequentavano casa, verso i parenti stretti come i nonni che non vivevano insieme a noi ma con noi. Presenti sempre nel nostro immaginario di bambini. La mano forte di nonna, l’ allegria del nonno zappatore e la loro vita semplice povera ma gioiosa. A volte molto gioiosa quando il nonno prendeva la strada della cantina invece di quella di casa.
Il rifugio dove vivo serve a questo: luogo di protezione, luogo scelto per viverci e viverci bene con Tiziana.
Ho sempre avuto nella mia vita la necessità di viaggiare, forse di fuggire, fuggire da qualcosa che avvertivo stretto, soffocante. Ho sempre avuto bisogno di un rifugio dove accoccolarmi e riflettere, ascoltare, stare in silenzio. Forse la vita di paese, forse le regole che stringono e stritolano le sensazioni e alla fine riducono al sogno eterno il tuo istinto/ desiderio sono state la spinta per quello che con gli anni è stata la mia vita.
La mia necessità è un trampolino sospeso sulla distesa di un grande mare che offre direzioni infinite, non una strada predefinita ma infinite possibilità di incontri. Ecco veder crescere un fiore, una pianta, osservarla è un viaggio e come tutti i viaggi è esperienza diretta, si vive tutti i giorni.
“Ora et labora” sono giorni che penso a questa frase che ha accompagnato anni di vita nei monasteri benedettini. Prendersi cura del luogo dove hai scelto di vivere, pregando e lavorando, pensando e progettando. Prendersi cura. Si continua a viaggiare, anche stando fermi, apparentemente fermi. Riuscire a sentire in una scala di legno la bellezza del vivere è leggerezza. La scala come un trampolino, costruita per salire tra i rami della grande quercia, dove poter leggere all’ombra un bel libro pensando al Barone Rampante di Calvino.
La mancanza è sintomo di buona esperienza, di qualcosa di vissuto in profondità. La mancanza è amore.
Quando penso a questo, fotogrammi di vita scorrono come quando emozionato incollato alla sedia di legno nell’arena del mio paese in una serata d’estate aspettavo che le immagini si stampassero su quel telo bianco. Schermo avvolto nel buio stellato di quelle serate d’estate, quando l’ arena accoglieva folle di persone con gli occhi lucidi pronti a partecipare allo spettacolo. Sì era proprio così, la generazione che veniva dalla guerra, tutti insieme con noi bambini in quella arena abbandonavano ricordi bui di una guerra vissuta e si perdevano in quel mare di immagini e storie, un trampolino per sognare, un trampolino sull’infinito. Per mio padre un trampolino per dimenticare la Russia, il fronte sul Don, gli amici persi e quelli caduti a terra che si lasciavano andare al gelo senza che nessuno potesse farci niente.
Fotogrammi che ti inchiodano sulla seduta di legno ad ascoltare le vibrazioni che il corpo riceve dall’interno interiore, scorrono veloci e possenti come le onde del mare che ti sollevano e ti conducono altrove. C’è bisogno sempre dell’altrove perchè andando in là poi ritorni nel tuo luogo dove hai scelto di stare, la vita come una marea che cresce e si ritira, che va in là, poi rientra cancellando un attimo dopo la tua orma sul bagnasciuga, un passaggio leggero e armonioso, proprio un bel sentire. “Sii navigante che apre la vela al vento” Pindaro.
Un abbraccio, a presto Peppe e che il trampolino sia sospeso sempre e per tutti…..soprattutto per quelli che non riusciamo ad accogliere.
Il trampolino sull’infinito